Cosenza, Tommaso Campanella e “La città del sole” protagonisti alla Fondazione Premio Sila

Viaggio appassionante nella Calabria rivoluzionaria del Seicento con Luca Addante e Massimo Veltri

A cura di Redazione
31 dicembre 2025 18:00
Cosenza, Tommaso Campanella e “La città del sole” protagonisti alla Fondazione Premio Sila -
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Cosenza - Il 29 dicembre nella sede della Fondazione Premio Sila, si è tenuto un evento straordinario dedicato a Tommaso Campanella e alla sua opera più celebre. Lo storico e professore universitario Luca Addante, curatore dell’edizione Einaudi di “La città del sole”, ha dialogato con Massimo Veltri, ingegnere, già docente dell’Unical e già Senatore della Repubblica, davanti a una platea gremita. L’incontro ha restituito la grandezza di uno dei più importanti classici calabresi di tutti i tempi

La sede della Fondazione Premio Sila in via Salita Liceo, nel cuore del centro storico di Cosenza, lunedì sera ha vissuto uno di quegli appuntamenti che lasciano il segno. Ogni posto occupato, un pubblico attento e partecipe, un silenzio carico di emozione: queste le premesse di un incontro che ha saputo restituire tutta la potenza rivoluzionaria del pensiero di Tommaso Campanella attraverso le voci di due autorevoli interpreti della cultura italiana contemporanea. Luca Addante, storico della filosofia, docente ordinario di storia moderna all’Università di Torino e professore associato alla Sorbona di Parigi. E Massimo Veltri, ingegnere, già docente dell’Unical e già Senatore della Repubblica. «Abbiamo scelto questa sede perché, un tempo, è stata la sala del Consiglio comunale della nostra città – ha esordito il presidente della fondazione Premio Sila, Enzo Paolini –. In questo luogo hanno preso la parola figure straordinarie come Fausto Gullo e Pietro Mancini. Qui si è discusso della Costituzione italiana. Non c’è modo migliore di onorarla che ricordare i luoghi in cui la nostra storia democratica è stata costruita».

Un’apertura che ha dato immediatamente il tono alla serata: parlare di Campanella, del suo tentativo rivoluzionario del 1599 in Calabria, della “Città del sole” scritta in una fossa buia dopo 27 anni di carcere, significa parlare di libertà, giustizia sociale, dignità umana. Temi che attraversano i secoli e interrogano ancora oggi il nostro presente.

Il classico calabrese più tradotto al mondo

Luca Addante ha aperto il suo intervento con un dato impressionante: «“La città del sole” ha avuto oltre 150 edizioni ed è stato tradotto in giapponese, ceco, svedese, ungherese, serbo-croato, turco, polacco, rumeno, coreano, lituano, portoghese, cinese, olandese, albanese, finlandese. È il testo calabrese più edito e tradotto di tutti i tempi. Nessun autore calabrese ha avuto questa fortuna».

Un primato assoluto che fa del volume “La città del sole” non solo un capolavoro della filosofia utopica europea, ma il più importante classico calabrese della storia. «Qualunque calabrese dovrebbe avere una copia di questo libro a casa», ha aggiunto Addante con passione ed emozione, tornando a parlare nella sua città natale.

La rivoluzione calabrese del 1599: tra sogno e realtà

Al centro della serata è emersa la figura di un Campanella rivoluzionario sin dal principio. «Era contraddice ad ogni cosa», raccontava di lui un maestro che gli disse profeticamente: «Tu non farai buon fine». E infatti, su 71 anni di vita, Campanella ne ha passati 34 in carcere. «Più della metà della sua esistenza l’ha passata in galera – ha sottolineato Addante –. Si salvò dal rogo solo perché finse di essere pazzo. Lo torturarono numerose volte. Un’ultima tortura, la veglia, durò 36 ore: aveva una corda dietro tirata, lo sollevavano al soffitto, lo facevano cadere. Ci ha perso una libbra di carne dalle natiche».

Il tentativo rivoluzionario del 1599 in Calabria coinvolse centinaia di persone: monaci, frati, nobili, banditi, popolo. «Sentivo per strada, ogni villano desiderava questa rivoluzione», scriveva Campanella. Un movimento che voleva proclamare una Repubblica «fondata sulla libertà naturale», rivolgersi persino ai turchi per ottenere appoggio, liberare una regione che viveva sotto l’oppressione spagnola e il potere brutale dei feudatari.

“La città del sole”: utopia o stato di natura?

Uno dei contributi più importanti emersi dalla ricerca di Addante riguarda l’interpretazione di “La città del sole”. «Non era il programma della rivoluzione – ha spiegato lo storico –. Campanella stesso, nella quarta questione che accompagna il testo, dice espressamente: “Perché ho dovuto scrivere una cosa in cui nessuno vorrebbe vivere?”. Risponde citando Tommaso Moro e Platone: può servire come esperimento mentale, portando all’estremo delle idee che possano essere confrontate col presente»

La chiave di lettura proposta da Addante è rivoluzionaria: “La città del sole” va letta come uno «stato di natura», quella condizione prepolitica e presociale teorizzata dal giusnaturalismo. «Ho trovato un testo inedito di Campanella in cui lui espressamente dice: “Adesso descrivo uno stato di natura” e descrive la Città del sole». Una scoperta che colloca Campanella cinquant’anni prima di Hobbes nella storia del giusnaturalismo europeo, quella corrente di pensiero che porta avanti i concetti di libertà e uguaglianza naturali e che culminerà nell’Illuminismo e nella Rivoluzione francese.

Tre libertà rivoluzionarie

Addante ha sottolineato come Campanella ponga tre libertà fondamentali, di straordinaria attualità: la libertà di pensiero ed espressione (la «libertas philosophandi»), la libertà dalla schiavitù e la libertà dalla miseria. «La libertà dalla miseria è un concetto che ci vuole fino al 1793, con la Costituzione giacobina e il diritto alla sussistenza», ha spiegato. «Nessuno può morire di fame. La società non deve essere troppo divaricata con una piccola minoranza di ricchissimi e un’enorme maggioranza di poveri». Un concetto che Roosevelt riprenderà nel suo famoso discorso sulle «quattro libertà fondamentali» e che risuona nella nostra Costituzione italiana.

La battaglia filologica: Bobbio contro Firpo

Una parte consistente della serata è stata dedicata alla vicenda editoriale del testo, ricostruita magistralmente da Addante nella sua postfazione all’edizione Einaudi. Nel 1939, in piena epoca fascista, Leone Ginzburg suggerì al giovane Norberto Bobbio di curare un’edizione critica de “La città del sole”. Bobbio pubblicò la sua edizione nel 1941, fondata sul manoscritto di Lucca. Ma nel dopoguerra Luigi Firpo, che aveva scoperto il manoscritto di Trento, convinse Bobbio a non fare una seconda edizione e pubblicò la propria nel 1949.

«Ho controllato parola per parola – ha rivelato Addante –. Firpo fa 176 mutamenti rispetto all’edizione di Bobbio. Di questi, 102 sono “e” trasformate in “ed”. Puro arbitrio. Il testo viene manifestamente peggiorato, diventa anche incomprensibile». Una «sola», come l’ha definita Addante con un gioco di parole, che ha tenuto fuori l’edizione di Bobbio per oltre settant’anni. «Quando è morto Bobbio, il figlio ha trattato i diritti con Einaudi. Einaudi ha detto no. E fino a oggi abbiamo considerato definitiva un’edizione sbagliata».

Il dialogo con Massimo Veltri: storia, filosofia, politica

Massimo Veltri ha guidato la conversazione con domande penetranti che hanno fatto emergere la complessità del pensiero campanelliano e delle sue interpretazioni. «Perché Leone Ginzburg indicò a Bobbio di mettere mano a questo libro proprio nel 1939, in piena epoca fascista? – si è chiesto Veltri –. Non credo fosse casuale. In un clima di repressione, era necessario suscitare elementi di discussione, di dibattito, di reazione al regime». Il dialogo ha toccato temi fondamentali: il rapporto tra utopia e distopia, la questione della presunta «conversione» di Campanella (smontata da Addante come «una finzione per salvarsi la pelle»), l’attualità del pensiero campanelliano sulla giustizia sociale e sulla libertà. «Se vediamo i poveri migranti che raccolgono le arance a Rosarno – ha osservato Addante – stanno in condizioni di semi-schiavitù. La lotta contro la schiavitù che Campanella portava avanti nel Seicento è ancora drammaticamente attuale».

Una lezione per il presente

Nelle parole conclusive di Paolini è emersa tutta l’attualità del messaggio campanelliano: «Campanella invitava a leggere i libri di tutti gli uomini, a non respingere a prima vista ciò che non s’accorda con il tuo intelletto. Infatti troviamo molte verità che prima collocavamo tra le cose impossibili. Una lezione per i giovani e per la politica di oggi». E Addante ha chiuso con una riflessione sul nostro tempo: «Era impensabile che il presidente degli Stati Uniti si comportasse come sta facendo quello attuale. Sembra veramente che stiamo vivendo un tempo distopico. Forse l’utopia, se è un’utopia realistica come cercava di fare Campanella, che mescoli lo slancio alla realtà di una lotta politica che si debba fare qui, adesso, è meglio».

Un evento che ha confermato ancora una volta la capacità della Fondazione Premio Sila di offrire al pubblico calabrese occasioni di riflessione culturale di altissimo livello, celebrando al contempo le radici più profonde e rivoluzionarie della storia e del pensiero della nostra terra.






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